Appello alla mobilitazione dei lavoratori e delle forze sociali calabresi: no al ricatto tra salute e lavoro
Gli eventi che si sono susseguiti in Calabria nelle ultime settimane hanno reso questa regione, giustamente, una polveriera a livello sociale. Non è bastata la crisi della prima ondata epidemica, con migliaia di lavoratori costretti a lavorare in condizioni ancora più precarie del solito e senza dispositivi di sicurezza. Si aggiunge adesso un secondo lockdown “colposo”, frutto dell’inadeguatezza del governo che, si scopre proprio ieri, continuava ad affidare la gestione commissariale della sanità ad un generale dei carabinieri che non era neanche consapevole dei suoi compiti.
A ciò si aggiunge il classismo di un’amministrazione regionale che, invece di impugnare l’illegittimo piano di rientro sanitario, impugna superficialmente lo status di “zona rossa” senza riconoscere quanto a questo abbiano contribuito la continua delega alla sanità privata di funzioni essenziali e lo stanziamento di aiuti Covid solo ad imprese senza porre nessuna condizione in termini di rispetto delle protezioni individuali.
L’Unione Sindacale di Base, le forze sindacali conflittuali e di classe, i comitati popolari per il diritto alla salute che sottoscrivono questo appello di rivendicazioni immediate chiamano all’unità e alla lotta le classi lavoratrici e popolari della regione, per pretendere un sistema sanitario pubblico di qualità, ben finanziato e slegato dalle logiche del profitto della borghesia locale.
Al motto di LAVORO, SALUTE, DIGNITÀ, sarà inoltre diffuso tra i diversi settori lavorativi della Calabria l’invito alla lotta congiunta, nelle assemblee e nelle piazze, sul web e sui luoghi di lavoro. Il fine ultimo della lotta sarà costringere materialmente le istituzioni a mettere in pratica qualsiasi misura sia necessaria per tutelare la sanità e l’occupazione dignitosa.
L’USB è in prima linea in questa lotta, consapevole che la soluzione immediata per ottenere le risorse necessarie può essere solo la requisizione della sanità privata e una grande patrimoniale del 10% sul 10% più ricco della popolazione.
L’appello è aperto ad altre adesioni da parte di realtà lavorative e sociali che ne condividano i contenuti e la prassi descritti. Altre firme sono in attesa.
È confermato che la Calabria sia stata istituita “zona rossa” – ai sensi dell’ultimo DPCM – non per via del suo indice di contagio, ma per la debolezza strutturale del suo sistema sanitario.
Le realtà che sottoscrivono questa lettera invitano la cittadinanza, soprattutto tutti i settori popolari e dei lavoratori precari della regione (i più colpiti dalla norma) a non accettare passivamente la misura, ovvero a non accoglierla senza denunciare le responsabilità politiche di un provvedimento che poteva essere evitato. Le stesse classi lavoratrici e popolari calabresi hanno dimostrato, attraverso la grande mobilitazione avvenuta a Cosenza l’ultima sera prima del lockdown, di essere coscienti del fatto che solo una sanità e dei servizi pubblici non piegati alle logiche del profitto avrebbero potuto risparmiare alla regione questo ennesimo disagio.
Parliamo soprattutto alle classi lavoratrici e precarie perché sono queste ad aver supportato, sulle loro spalle, i costi del primo lockdown e sono, ora, in procinto di sostenere i maggiori disagi del secondo. Vogliamo ricordare i gravi ritardi nell’erogazione del bonus Inps ai lavoratori stagionali, i licenziamenti in tronco (ad aggirare il “blocco”) di lavoratori forzatamente in nero o in “prova”, l’incremento – nei quattro mesi di boom estivo – di trattamenti degradanti come la mancanza di tutele anti-Covid perpetrata da categorie come i proprietari dei villaggi turistici. Ricordiamo che adesso molti lavoratori stagionali e non solo, per via di contratti part-time o di rapporti in nero “giustificati” ancor di più dall’emergenza economica, hanno difficoltà a ottenere un sussidio Naspi consistente e devono sperare nei bonus una tantum del governo. Ricordiamo la mancanza totale di inquadramento legale dei tirocinanti della PA che chiedono, anch’essi, un sostegno strutturale e le battaglie dei lavoratori delle ditte di trasporto, dei call centre, della nettezza urbana e degli assistenti sociali per vedersi assicurate condizioni di lavoro in sicurezza, oltre che versamenti salariali regolari. Ricordiamo, infine, il sacrificio di tutti i lavoratori sanitari, costretti a turni rischiosi e oberanti a causa dell’emergenza e che da anni si mobilitano per chiedere la stabilizzazione per tutti.
Di tutta questa situazione l’amministrazione Regionale – che ha annunciato di recente un altro stanziamento di 110 milioni per le imprese, anche questo a fronte di nessun accordo sulla tutela salariale e contrattuale dei dipendenti – è corresponsabile.
Molte sigle sindacali denunciano da mesi la quota di fondi Covid non spesi dall’amministrazione regionale. Ma è importante sottolineare perché dei fondi non sono utilizzati in maniera immediata ed efficacie. Ciò può avvenire, in primo luogo, per le inefficienze stesse che caratterizzano il sistema regionale (e che richiederebbero una centralizzazione del servizio sanitario), come mancanza di personale adeguato allo svolgimento delle procedure o freni derivati da personalismi e clientelismi locali.
Ma, soprattutto, ciò avviene perché poche decine di migliaia di euro una tantum non sono assolutamente sufficienti per attrezzare un sistema regionale da decenni sottofinanziato. Ad esempio, è notizia ufficiosa che a Tropea non sia stato installato un reparto Covid perché, pur avendo disponibilità di spazi e di fondi per le strumentazioni, ci si è trovati impantanati nella mancanza di personale specializzato.
La Calabria, come le associazioni e le realtà sindacali sottoscriventi denunciano da mesi, spende da anni, pro-capite, fino a duecento milioni all'anno in meno della media nazionale in sanità, perché non riceve fondi perequativi commisurati alle sue esigenze epidemiologiche. Questo rende il piano di rientro moralmente illegittimo, oltre che incostituzionale. Questo è alla radice dell’impossibilità di agire con prontezza nell’allestimento di locali di emergenza e nell’aumento dei posti letto. Questo, ancora, è alla base di follie come la diminuzione da 4,47 a 2,98 posti letto ogni mille abitanti negli ultimi dieci anni e della perdita, nello stesso periodo, di 3800 unità di personale, o di iniquità locali dovute alla guerra fra poveri dei territori (che portano, ad esempio, Catanzaro e Crotone a contare quasi 4 posti letto ogni mille abitanti di fronte ai 1,57 di Vibo Valentia). Questo, infine, è la causa per cui la Regione sborsa una rata annuale da 30,7 milioni a un tasso usuraio annuo del 5,89% per ripagare i debiti sanitari contratti con il Governo.
L’amministrazione regionale è stata totalmente passiva di fronte a questa situazione conclamata e non ha esercitato alcuna pressione politica o giuridica per cercare una soluzione – soluzione che va trovata necessariamente di concerto col Governo centrale, alla luce dei noti tagli al SSN nazionale che hanno colpito non solo la nostra regione.
La Regione Calabria ha anzi utilizzato quel poco di margine finanziario disponibile non per prevenire la seconda ondata, dirottando i fondi sulla medicina territoriale o imponendo tramite accordi sindacali e controlli il rispetto delle misure preventive alle aziende turistiche (oltre che il rispetto della dignità dei lavoratori), ma per elargire pacchetti regalo agli ambienti imprenditoriali che erano la propria base elettorale, pacchetti che alla luce dei ristori già previsti dal Governo e dell’esplosione turistica dei mesi estivi appaiono inoltre poco urgenti (secondo il report di Bankitalia appena pubblicato sulle Economie Regionali, ad agosto il Sud aveva recuperato i volumi turistici dell’anno precedente, cfr. p.12).
La misura “Riapri Calabria” ha previsto infatti uno stanziamento di 40 milioni, di cui 20 milioni a fondo perduto, finalizzato a sostenere "piccoli imprenditori", “Lavora in Calabria” uno stanziamento di 80 milioni, rivolti a microimprese e Pmi artigiane, commerciali e industriali e di servizi. Altri stanziamenti pari a 120 milioni di euro sono stati presi, poi, per i programmi “Riparti Calabria” e “Lavora Calabria”; 15 milioni di euro per il programma “Scopri Calabria”; 12.5 milioni diretti ai giovani per consumi culturali, bar e pub; 20 milioni a favore degli hotel; 9 milioni di bonus per i consumi in cene in Calabria; 1 milione di euro a favore delle agenzie di viaggio; 300.000 euro a favore delle guide turistiche; 3 milioni di euro diretti a noleggi con conducente. Neanche un euro è stato utilizzato per ammortizzare la condizione dei lavoratori precari e delle fasce disagiate in generale, se non in funzione di sgravi alle aziende. È per questo che ribadiamo che la mancata prevenzione del secondo lockdown ha natura spiccatamente classista.
Non crediamo che nella situazione d’emergenza attuale possa farsi valere l’obiezione per la quale tali fondi fossero “destinati” ad uno specifico settore: in uno stato d'eccezione qual è l’attuale - e in Calabria lo è doppiamente, visto che si presenta come la Regione con meno spesa sanitaria pro-capite – pensiamo che un corpo politico debba prendersi la responsabilità di comportarsi di conseguenza, soprattutto quando ci sono in gioco vite umane.
Per tutto quanto riportato, le sigle sottoscriventi ritengono opportuno agire procedendo a
- un esposto nelle procure di competenza per denunciare la mancata implementazione – persino – delle misure previste nelle attuali direttive aziendali delle Asp e nei DCA regionali, per i quali molti ospedali “periferici” dovrebbero già essere funzionanti come ospedali generali;
- una richiesta di incontro con la Giunta Regionale e con il Commissario ad acta per pretendere l’immediato utilizzo dei fondi non spesi per l’incremento dei posti letto in terapia intensiva e per l’assunzione di personale sanitario, nonché per pretendere una presa di posizione politica nei confronti del Ministero delle Finanze e della Salute riguardo all’equa ripartizione dei fondi sanitari e circa la necessità di revoca del piano di rientro.
Queste iniziative verranno accompagnate da modalità di mobilitazione compatibili con l’attuale regime precauzionale di diffusione della pandemia: dimostrazioni on line oppure fisiche nel nome del rifiuto del ricatto tra salute e lavoro.
Solo se la parte disagiata della popolazione diviene cosciente dei propri diritti e dei mezzi attraverso i quali raggiungerli la nostra regione si potrà salvare dal personalismo e dal giogo delle classi economicamente dominanti.
USB Calabria
Fronte della Gioventù Comunista
Cobas Telecomunicazioni
Slai Cobas
Fials sanità VV
Associazione Nazionale Lavoratori Stagionali
Mediass – medici di famiglia
Il Baco resistente - Catanzaro
Spa Arrow – Rende
Calabria Sociale – Tropea
Libertas – associazione culturale
Comitato ospedale Soveria Mannelli
Ass. nazionale persone con malattie reumatologiche e rare
Comitato ospedale Mesoraca
CSC Nuvola Rossa – Villa S. Giovanni
Potere al Popolo – Calabria
La Cosa Pubblica – Reggio Calabria
Arci – Crotone
Rifondazione Comunista – Calabria
Giovani comunisti – Cosenza
Rete "Salviamo il Poliambulatorio di Villa San Giovanni"
Orsa Porto di Gioia Tauro
Centro sociale Rialzo - Cosenza
Ass. Culturale Magnolia Reggio Calabria
Sportello Sociale Autogestito – Lamezia Terme -
SADA fast - sindacato trasporti
Parresia Research